LECCE – Semeraro sulla doppia retrocessione: “Fatta giustizia sommaria”. E ai Tesoro…
È passato un anno da quando Giovanni Semeraro non è più il presidente del Lecce. Un addio per certi versi doloroso, dopo 18 anni di soddisfazioni, e per altri versi liberatorio, data la portata degli investimenti e il clima pesante che si è registrato verso la sua società, specialmente negli ultimi tempi del loro mandato. Dolore, soprattutto per come si è chiusa questa lunga cavalcata, con la retrocessione in Lega Pro per colpa del derby ‘truccato’, definito, ai microfoni del Corriere del Mezzogiorno, come “un’ingiustizia che continua a macchiare l’onore della mia famiglia”.
Ecco come ci si sente dopo aver lasciato una parte importante della sua vita imprenditoriale, e non solo: “Sono tranquillo, sereno – spiega l’ex patron giallorosso -. Mi sento finalmente oltre il problema. Avverto un senso di liberazione. Non nego che il Lecce, un passatempo costoso, un po’ mi manca. Tuttavia, per carattere, nel momento in cui do’ un taglio netto alle cose, non metto mai la marcia indietro. Le mie scelte risultano definitive e non comportano pentimenti”.
La delusione per la mancata promozione in B brucia ancora: “Mi è dispiaciuto moltissimo. L’invasione di campo è stata una brutta cartolina inviata da Lecce. Purtroppo siamo alle solite. I tifosi faticano ad accettare un verdetto sportivo. Non esiste la cultura sufficiente per metabolizzare una sconfitta. Eppure lo sport è questo: si vince e si perde. E se si perde, bisogna stare tranquilli perché verranno momenti migliori”</em”gt;.
La rabbia dei tifosi, coloro che sognavano, senza patemi, la cadetteria: “In alcuni frangenti del campionato, il Lecce aveva un vantaggio abissale sulla seconda. Il rammarico, sul piano squisitamente calcistico, è illimitato. La famiglia Tesoro, gli stessi giocatori e la città meritavano la promozione. E se sono stati commessi degli errori, è accaduto in buonafede”.
Inevitabile parlare del derby “truccato”: “Sono convinto che su questa storia la verità non sia realmente emersa. Spero che il tempo, in tal senso, si riveli galantuomo. Mio figlio non ha mai negato di conoscere Carlo Quarta, l’imprenditore coinvolto nella vicenda. Giocavano insieme a calcetto, condividevano gli affari di un ristorante. Tra i due, però. non c’erano ulteriori legami. E poi Pierandrea poteva mai spendere 300 mila euro, una somma enorme, per blandire un solo giocatore? Mio figlio, giustamente, mi ripete: ‘Papà, ma sarebbe stato possibile tirar fuori 300 mila euro tutti insieme sfuggendo a qualsiasi controllo?’. In diciotto anni di calcio non abbiamo mai agito così, siamo stati un esempio di pulizia. Una condotta malandrina non poteva passarci nemmeno lontanamente per la testa. La realtà è che sul caso, in sede sportiva, è stata fatta giustizia sommaria nei confronti del Lecce”.
Il Lecce si sente pesantemente penalizzato dalla sentenza: “Durante il procedimento, non è stata dedicata minima cura alle nostre controdeduzioni. Alludo, anche, al mancato riconoscimento del paracadute di 5 milioni che è garantito ai club che scendono dalla serie A. Perché il Lecce, ricordiamolo, scendeva dalla A e non dalla B. Solite manfrine di Lega. Solite soluzioni lobbistiche di un calcio gestito in eterno dagli stessi personaggi. Giustizia sommaria, confermo. Ingiustizia sicura, in fondo, perché la verità è un’altra. Spero che venga a galla la verità. Perché non mi sento colpevole. Perché la mia famiglia deve recuperare, nell’opinione del mondo, il decoro che la caratterizza da sempre. Non ci siamo mai resi protagonisti di episodi che pregiudicassero il nostro contegno. Sia nel calcio, sia quando avevamo la banca e inevitabilmente entravamo in contatto con politici molto influenti”.
Un consiglio, in chiusura, ai Tesoro: “Di andare avanti, perché lui e suo figlio Antonio sono persone brave e competenti. E di compiere scelte non affrettate, quando si andrà a ricostruire una squadra che nell’estate del 2014, lavorando con lucidità, rimetterà certamente piede in serie B”.