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[ESCLUSIVA SS] L’INTERVISTA – Cassetti: “Sogno la Premier, ma non dimentico Lecce. Chevanton non è uruguaiano, è salentino”

È stato il primo giallorosso della storia a indossare la maglia della Nazionale. Marco Cassetti ha fatto il suo esordio in serie A a Bari (30 settembre 2000) senza sapere che un giorno, di lì a tre anni, si sarebbe affermato proprio nella rivale Lecce.

Una carriera tinta di giallorosso la sua: tre anni in Salento, cinque a Roma, prima della nuova avventura col Watford, il club inglese che milita in Championship, la nostra serie B, in passato presieduto da Elton John e ora parte della multinazionale Pozzo.

Il legame con Lecce è però ancora forte ed è per questo che Marco accetta con piacere di essere intervistato in esclusiva da SalentoSport, raggiunto dai nostri microfoni dopo il pranzo con la squadra.

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Marco, come va la nuova esperienza in Inghilterra?

“Molto bene. Qui è un campionato strano, molto particolare, ma sicuramente affascinante. Può succedere di tutto, l’ultima può vincere con la prima. Noi abbiamo fatto due vittorie esterne, poi abbiamo perso in casa. È un’esperienza nuova per me, anche dal punto di vista umano.

La scelta è stata facile, fino al 20 agosto ero svincolato e non ho ricevuto offerte da nessuna squadra italiana. I primi che si son fatti sentire son stati quelli del Watford e abbiamo chiuso tutto in poco tempo”.

A dieci anni di distanza dalla parentesi di Vialli, ora è un altro italiano ad allenare il Watford: Gianfranco Zola.

“Il rapporto con lui è molto buono. A dire la verità, non lo conoscevo prima, però è una grandissima persona e un bravissimo allenatore. Ha una grande conoscenza del calcio inglese, ha giocato e vissuto qui per molto tempo e chi meglio di lui ci può consigliare”.

Con l’ex portiere dell’Arsenal Almunia, fai un po’ da chioccia ai tanti giovani mandati lì in prestito dall’Udinese a farsi le ossa.

“Sì, cerco come sempre di mettere a disposizione il mio bagaglio di esperienza per cercare di aiutarli, sperando sia una cosa importante per loro. Ci sono tanti giovani interessanti, non faccio nomi in particolare per non scontentare nessuno, ma siamo una squadra piena di qualità e di talento. Cerchiamo di giocare in un modo diverso rispetto al tipico calcio inglese. Qui gli allenamenti sono molto intensi e si presta meno attenzione alla tattica.

Ho giocato in serie B anche in Italia, col Verona tanti anni fa, ma questo Watford è un’altra storia. Quella squadra veniva da una retrocessione ed aveva molti giocatori già pronti”.

Qual è l’obiettivo di questo club? La promozione in Premier?

“Sarebbe bellissimo poter competere per le prime posizioni, è difficile, ma, come ho detto prima, può succedere di tutto. Quindi perché non pensarci?”.

Più in generale, come ti trovi invece in Inghilterra?

“Abbastanza bene, son arrivato da due mesi, il tempo certamente non aiuta, anche perché son stato fortunato a vivere a Lecce e Roma negli ultimi dieci anni. E poi penso che sia tempo di una stagione perché comunque la mia famiglia è rimasta a Roma e vivo qui da solo. Son tornato spesso, in occasione delle soste per le nazionali, e ora la prossima pausa non la vedo così vicina. A Natale qui si gioca e credo che sarà la mia famiglia a salire a Watford per qualche giorno”.

Nel 2003 arrivi a Lecce: fu una delle tante Corvinate.

“Accettai volentieri Lecce. Fu una seconda possibilità per me. Venivo da tre anni a Verona. Dopo la retrocessione in B, la squadra aveva fatto un campionato piuttosto anonimo. Io invece, l’anno prima, avevo subìto un infortunio abbastanza grave al ginocchio, ero rimasto fuori per dieci mesi e non ero riuscito a dare il mio contributo. Avevo voglia di mettermi di nuovo in competizione e tornare in gioco, in serie A.

Il primo anno a Lecce fu una cavalcata meravigliosa. Avevamo chiuso il girone d’andata con 12 punti, dopo la vittoria a Reggio Calabria. Tutti ci davano per spacciati, noi invece eravamo convinti delle nostre capacità. C’erano dei grandi giocatori in rosa, Delio Rossi era come un padre per tutti. Ci siamo stretti l’un l’altro, abbiamo cercato di chiudere la bocca alle critiche e ci siamo riusciti. Ci salvammo con due giornate d’anticipo, ma quella rosa era davvero importante. Qualcuno era molto giovane, ma c’erano dei giocatori di grande talento che l’hanno dimostrato poi nel tempo”.

Poi Zemanlandia e la svolta tattica della tua carriera: il passaggio da esterno di centrocampo a terzino.

“L’inizio non è stato dei migliori. Nel campionato precedente con Delio Rossi, avevo segnato molto. Mi trovavo molto bene in quella posizione e non volevo cambiare. Zeman invece ha insistito tanto nella pre-season per farmi giocare terzino. Io non ero molto d’accordo, poi un giorno mi ha preso da parte e mi ha detto: ‘Io credo che tu giocando in questa posizione arriverai in nazionale'”.

È riuscito a convincermi, mi son messo a lavorare come sempre e alla fine ha avuto ragione lui, ci ha visto lungo. In nazionale ci sono arrivato veramente (30 marzo 2005, Italia-Islanda, ndr) e fu un anno meraviglioso sotto l’aspetto dei risultati e anche dal punto di vista professionale e personale”.

Quindi, alla luce della tua esperienza con Zeman, consiglieresti ai tuoi ex compagni di tener duro anche nei momenti di critica.

“Sì. Quanto alla diatriba con De Rossi, Osvaldo e Burdisso, conoscendo Zeman, è stata solo una mossa per cercare di spronarli. Naturalmente rispetto a Lecce la cassa di risonanza è diversa a Roma. È tutto più amplificato e quindi diventa tutto più difficile”.

L’ultima stagione a Lecce è stata quella della retrocessione.

Cambiammo tre volte l’allenatore, non siamo riusciti a dare continuità, pur avendo comunque una buona squadra che poteva tranquillamente salvarsi. Però ci sono delle annate che nascono male e finiscono peggio e quella è una di quelle. Mi è dispiaciuto tantissimo perché i primi due anni sono stati fantastici, anche considerando la vita che si viveva in città tutti i giorni grazie all’affetto dei tifosi. Lecce è una città a misura d’uomo, un mare favoloso, gente favolosa, una cucina…(sorride, ndr) pesce a volontà, pasticciotti…”.

Ti mancherà tutto questo a Londra…

“Mamma mia, mamma mia, sicuramente, sicuramente…” (sorride ancora, ndr).

C’è un aneddoto in particolare che conservi ancora?

“Eh, io non è che ricordi bene. Ah, oddio, forse, sì… L’anno di Zeman, nello spogliatoio prima delle partite, siccome Bojinov si presentava con delle mutande di tutti i colori, Sicignano le tagliava con le forbici. La prima volta che è successo, mi sembra che Bojinov fece doppietta o vincemmo. Quindi fu così ogni volta. Era diventato un gesto scaramantico ormai”.

Ora invece il Lecce riparte dalla Lega Pro.

“Mi dispiace molto per quello che è successo. Vedo che sta facendo un ottimo campionato, son partiti molto bene, ma nel calcio non c’è mai nulla di facile. Non dovranno abbassare la concentrazione; anche se sei una squadra forte non si sa mai cosa può succedere e puoi essere sempre ripreso dalle squadre dietro di te. Spero che il Lecce ritorni nel calcio che conta. La piazza sicuramente merita qualcosa di più”.

Chevanton oggi rappresenta un elemento di continuità con quel Lecce di cui sei stato un punto fermo.

“Cheva ha fatto una scelta di vita, non lo considero nemmeno più un uruguaiano, Cheva è un salentino e rimarrà lì per tutta la vita, per tutta la carriera. Son contento per lui, è tornato a casa dopo aver fatto anche altre esperienze, come è giusto che sia”.

Qual è il compagno a cui sei rimasto più legato?

“Sicuramente Vucinic, ma anche Stovini. Con Mirko in fondo ho passato otto anni”.

Quali programmi hai per il futuro, dopo questo contratto annuale con l’Udinese che ti ha girato al Watford?

“Non lo so, vivo il presente con molta serenità. Ho 35 anni e in questo momento mi sento ancora molto bene. Il primo step di allenatore l’ho già fatto l’anno scorso, ho preso il patentino di terza categoria. Per il resto si vedrà”.

Watford calling, l’allenamento chiama, e a noi non resta che congedare Marco con un “In bocca al lupo”.